-Sentii mio padre arrivare... (Charles
Bukowski -Un panino al prosciutto. Ho scelto di lavorare su testi cosiddetti
minori, cercare figure di paternità in testi anzitutto più recenti, di fine
'900, e soprattutto testi scritti nel momento in cui la figura di paternità
sopradescritta, entra finalmente in crisi. In questo libro violentissimo,
autobiografia dell 'infanzia e dell' adolescenza di Bukowski, in cui la figura
patema che abbiamo visto punire il bambino e che in tutto il libro si presenta
con questo carattere, alla fine è una figura grottesca, patetica, fuori moda,
chiusa nel suo onnicomprensivo orizzonte di violenza; un padre ridicolo proprio
nel voler incarnare una delle figure della paternità della quale noi crediamo di
esserci liberati. Quella figura della paternità che è tutta fallica, tutta
maschile, tutta impositiva; che fa della violenza, della sopraffazione, della
punizione, 1 'unica modalità di comunicazione. La figura del padre che sta alla
base di una serie di altre figure del potere: è il potere paterno che si
manifesta nella punizione fisica, ella pena capitale, è il potere che si
manifesta dagli altari delle cattedrali, dai balconi di Piazza Venezia, che si
manifesta sempre come una ridondanza. Questo padre è un padre eccessivo, è un
padre di cui non si può sopportare la vista, un po' come il padre-eterno (in
certe raffigurazioni il Padreterno è così: è fallico, è violento, è sterminatore
).
Noi, anche la mia generazione, siamo
stati educati con questa immagine di padre sullo sfondo, un padre normativo e,
da un certo punto di vista, anche persecutore, un padre che incarna la figura di
un potere che non ha bisogno di legittimazioni perchè si legittima da solo, si
legittima attraverso l'uso della forza, un padre che ha il monopolio dell'uso
legittimo della forza dentro la famiglia enell ' organizzazione sia della
famiglia che della società.
La fine del XX secolo e l'inizio del
XXI ha visto e sta vedendo la crisi di questa figura paterna contemporaneamente
alla crisi dell'immagine maschile che questa figura patema legittimava e dalla
quale era legittimata. Oggi il maschio fallico, il maschio penetratore, il
maschio violento che violenta il reale e lo utilizza unicamente come substrato
della sua violenza (figura ancora molto presente ad esempio negli spot
pubblicitari), ci fa quasi sorridere, ci fa quasi pensare ad una citazione
ironica, di un'altra epoca, ci viene da dire che non ci sono più padri così.
Però io credo che affermare questo
sia una semplificazione, non soltanto ci sono ancora padri così, ma esiste
ancora un maschile di questo tipo, esiste ancora un maschile che sostiene le
pratiche di potere, un maschile esibizionista, che si mostra solo in quanto sa
dominare il reale. L' evidente punto debole di questa figura patema era il suo
eccesso di esibizione; un padre così, prima o poi, deve fare i conti con il
fatto che i figli scoprano che il "re è nudo", scoprano che è possibile
emanciparsi da questo padre. E' importante, soprattutto oggi, ripensare e
ricordare che le figure del potere hanno senso soltanto se ci si pone il
problema dell'emancipazione dal potere stesso perché il potere provoca sempre
degli effetti; li provoca in modo volontario, involontario o secondario.
-Andiamo -disse mio padre. ( Charles
Bukowski -Un panino al prosciutto ).
Se padri e figli fossero così
sarebbe tutto molto semplice. Questa è una descrizione lineare del potere: il
potere vieta e punisce fisicamente, chi subisce il potere ad un certo punto
ribalta la situazione e fisicamente s'impone fino a delegittimarlo.
Anche se ci sono ancora padri così,
anche se questa figura del potere è ancora presente, oggi le cose sono cambiate,
perché questi padri, da violenti o pervertiti, sono diventati qualcos'altro,
sono diventati padri ingombranti.
Nel racconto di David Forster
Wallace, tratto dal libro "Brevi interviste con uomini schifosi", Sul letto di
morte, stringendoti la mano. .., vediamo un padre che, mentre sta morendo, ha un
lungo monologo di fronte al figlio inframmezzato da una serie di emorragie,
perdite di muco e di sangue, egli parla e le sue parole si confondono con gli
umori che il suo corpo emette. Uno spettacolodisgustoso. Non più il padre che
muore dando l'estrema lezione di vita ai figli, ma un padre che "crepa"
rivoltandosi nel proprio muco e nei propri escrementi mentre il figlio gli tiene
la mano e" non vede l' ora che muoia per farla finita di recitare la parte del
figlio premuroso al capezzale del padre. Dunque non possiamo ignorare che il
padre nel XX secolo è diventato ingombrante. Proprio quello stesso padre che
ingombrava la scena con la sua presenza straordinariamente fisica divina, un po'
tra il duce e le apparizioni del roveto ardente.
Aveva detto bene Quasimodo
-Dimenticate, figli, le nuvole di sangue salite dalla terra, dimenticate i padri
Ora i padri non si possono dimenticare, non si fanno convincere a morire, il
padre è diventato non tanto il "cadavere eccellente" ma il "morente poco
eccellente", questi padri non si tolgono più dai piedi.
Ma come e quando è avvenuto il
passaggio tra il padre come patriarca punitivo e il padre come oggetto
d'ingombro?
lo credo che questo passaggio sia
avvenuto la prima volta ad Auschwitz. E' nei campi di sterminio che il padre
diventa qualcosa di ingombrante. Nel libro "La notte", Elie Wiesel assiste
all'agonia di suo padre nella baracca -Tutto intorno regnava adesso il silenzio.
Ciò che, di inedito, è stato realizzato dal nazismo, ciò che i vari Feltri,
Taradash, Ferrara, non capiscono, ciò che più di ogni altra esperienza per
quanto tragica ed atroce nella storia dell'umanità è stato realizzato, è il
progetto di liquidazione totale degli individui in tutte le sue dimensioni ma,
nel tema che ci interessa, ha realizzato l'inversione del rapporto
genitori-figli. Il figlio, giovane, forte, aitante, fin dagli inizi del nazismo
(progetto eutanasia) è colui che deve sopravvivere e il padre, l'anziano, il
vecchio, il portatore di memoria, è colui che deve essere eliminato. I nazisti
sono stati molto chiari nel loro progetto di liquidazione e sono partiti da due
figure, l'handicappato e l'anziano. I crimini più atroci commessi dai nazisti e
dai fascisti in Italia, sono stati quelli contro le persone anziane, contro i
padri. Il nazismo è stato un tragico parricidio su scala europea, i nazisti
hanno ucciso il padre perché non potevano sopportare che fosse depositario di
memoria; uccidendo il padre essi hanno ucciso la memoria. Anche nell'iconografia
nazista, la presenza dei bellissimi giovani della Hitlerjugend, sono i detentori
di un potere fallico distruttivo e omicida, maggiormente distruttivo di quello
di Bukowski perchè non dà possibilità di emancipazione, nemmeno in modo
secondario o sotterraneo.
Per la prima volta nella storia sono
i padri a dover temere i figli, e ciò ha modificato radicalmente il rapporto tra
loro e ha modificato radicalmente il modo di raccontare i padri.
Oggi raccontare i padri significa
raccontare la storia di una sconfitta, raccontare la biografia di un perdente.
Dopo Auschwitz il padre è colui al quale, al massimo, è concesso di
sopravvivere.
Tutti quelli di noi che sono nati
dopo il' 45 sono nati dopo una svolta della storia, nel momento in cui il potere
del padre crollava di fronte al potere scatenato del figlio adolescente che non
vuole che si parli di regole. Il nazismo ha reso possibili i sogni di sterminio
di generazioni di ragazzini che avrebbero, nei loro sogni, mille volte ucciso il
padre perché proibiva loro di uscire con la macchina nuova.
Dallo spartiacque segnato dalla
realtà dei campi di sterminio, da "La notte" di Wiesel, il padre diventa un
essere regredito, diventa bambino, e si realizza così quella curiosa e tragica
inversione di rapporto tra padre e figlio che vediamo anche nelle richieste di
cura. I padri chiedono ai figli quelle cure che dovrebbero essere loro a
dispensare e, da parte loro, i figli si trovano nell'impossibilità di rispondere
a questa invocazione.
Ma forse non tutto è finito ad
Auschwitz. Forse, come nel romanzo di Aghota Kristof, "Trilogia della città di
K.", il padre è l'unico che può aiutare i suoi figli a oltrepassare il filo
spinato intorno ad una città di cui non si conosce ne il luogo ne il tempo, un
padre che è nuovamente un padre iniziatore, che dà la possibilità di aprirsi
alla vita.
-Alle undici partiamo. La
possibilità, che i figli descritti in questo libro intravedono nel padre, è il
suo sacrificio per il loro desiderio di fuga, il suo corpo privo di vita serve
loro per costruire i propri progetti per l'avvenire. Esattamente l'inverso del
mito di Krono.
Come uscire da questa prospettiva
tragica? Dove recuperare il senso di una paternità consapevole, forte senza
essere repressiva, autorevole senza essere autoritaria, che dia un tono anche
alle altre figure maschili di riferimento educativo?
Perchè, morendo il padre, rimane
solo la madre. E, se è vero che il padre è colui che ha il potere di punire, la
madre è colei che ha il potere di permettere o no la vita.
Nei " Racconti di Nick Adams " di E.
Hemingway, un padre medico porta con se il figlioletto andando ad assistere una
ragazza indiana in procinto di partorire; nella tenda essi scoprono il suicidio
del marito della ragazza: -Sollevò il capo dell'indiano. , una delle possibilità
di recupero di una dimensione paterna sufficientemente buona è quella di tornare
a fare del padre l'iniziatore ai misteri della vita e della morte in una società
dove si parla sempre meno della morte, dove la morte è il vero oggetto tabù. In
una società come questa il padre può essere colui che spezza l'innamoramento
binario tra madre e figlio e che interviene con il "principio di realtà", ma è
un principio di realtà che apre un'altra storia: se non si spezza la coppia
madre-figlio la storia non comincia. Solo con l' entrata in scena del padre e la
formazione della triade in cui egli porta la morte, inizia la vita. La vita non
può iniziare se non con qualcuno che ci svela la morte.
Se dunque la madre è la portatrice
dell'utopia nel senso più alto del termine, il padre è il portatore del fatto
che ogni utopia deve avere a che fare con la morte, che ogni progetto deve aver
a che fare con la dimensione della finitezza e anche della solitudine di fronte
alla morte. Se il padre recupera questa dimensione di iniziazione alla morte,
non come colui che sa già tutto, ma come colui che si trova spiazzato
esattamente come i figli di fronte a ciò e ne fa un oggetto pedagogico, allora
c'è la possibilità che i ragazzi comincino a vivere.
Lavorando con gli adolescenti mi
capita di pensare che questi ragazzi non vivono, e non vivono Perché non
muoiono. Non vivono perché questa società continua ad alimentare un sogno di
eterna giovinezza, in cui non ci sono limiti al proibito, una società in cui i
cinquantenni si comportano come ragazzini risultando patetici, ridicoli, non
credibili come adulti. E' necessario spezzare l' assoluta certezza che la morte,
seppur vista da vicino, non li toccherà mai; va spezzata dimostrando che i
padri, esattamente come i figli, davanti ad essa sono inermi. I padri, che non
hanno ricette preconfezionate, devono inventare narrazioni per quello che c'è
dopo, devono narrare la morte. La madre non può farlo perché ha il compito
evolutivo di narrare la storia del Cantico dei Cantici -"forte come la morte è
l'amore"-, che però non si può apprezzare se prima non si scopre cos'è la morte.
Ecco che i padri, in alleanza con le madri, devono farsi carico di una pedagogia
della morte per avere la possibilità di essere ancora padri.
Dalla "Smemoranda", un raccontino di
Gino e Michele: -"Si tuffa nel blu. .."-, da cui emerge il ruolo del padre
"magico", il padre che sa inventare e narrare una vita bella e gustosa proprio
perché c'è la morte. Gli immortali non possono giocare e la condizione per
poter giocare è sapere che prima o poi il gioco sarà interrotto.
Un padre porta dunque la morte ma
porta anche il gioco, porta la possibilità di giocare la vita, di narrare una
vita degna di essere vissuta proprio perché presa con leggerezza ma anche con
consapevolezza.
L 'ultima dimensione possibile è
l'idea espressa da Pasolini nella poesia contro gli studenti in piazza, e cioè
la critica ai figli per quello che potranno essere.
I padri non devono piacere ai figli
ma devono fare i padri. Rattrista la disinvoltura con cui certi ragazzini
prendono a male parole i loro padri come farebbero con dei coetanei, rattristai
perché questi ragazzini dovranno imparare a confrontarsi con la vita e non
saranno in grado di farlo adeguatamente se i loro padri non si comportano come
tali.
Siamo nel secolo che ha distrutto la
paternità e che forse ci dà la possibilità di ricostruirla e ce ne dà la
possibilità su queste tre basi: il padre come portatore di morte, come portatore
di regole, come portatore di magia. E' possibile anche incrociare queste
dimensioni: le regole della morte (insegnare come si fa a morire, come rendere
più tollerabile questa figura terribile) , le regole della magia (imparare a
fare le cose serie come per gioco), la magia della morte(la dimensione della
trascendenza) .
La nostra epoca, il '900 e
soprattutto il periodo che ruota attorno ad Auschwitz, ci ha portato però anche
la figura del resistente, il padre come resistente ( il mio progetto di ricerca
si chiama "pedagogia della resistenza"), il padre che ci aiuta a resistere.
Chiudo leggendo due delle "Lettere
dei condannati a morte della resistenza europea". La prima è la lettera di un
figlio al padre: -Caro papà, sii forte. Complementare a questa, la lettera di un
padre: -Mio piccolo grande figlio. Noi, oggi, possiamo essere padri ed essere
figli nella dimensione della resistenza al male; il padre è allora colui che
porta la dimensione della morte ma anche della resistenza ad essa e la
possibilità di tenere duro. E allora l'alleanza stretta, rigorosa, con la madre,
diventa la ricostruzione di una filosofia della paternità e della maternità.
Un grande classico italiano ci ha
restituito la dimensione di una paternità persa ma che, proprio nel momento in
cui viene persa, attraverso l'intervento forte della madre ci richiama alla
possibilità di un'alleanza non soltanto tra uomini bensì con la natura: ..mia
madre alzò nel grande silenzio un dito, disse un nome, suonò alto un nitrito.-
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